“Il fuoco della vita. Carlo Michelstädter un autore da leggere in tutte le sue opere”, questo è il titolo del saggio dedicato al grande pensatore goriziano scritto da Elena Guerra con la collaborazione di Annabel Napolitano, edito dall’Agenzia libraria editrice, Trieste, settembre 2019, pagine 356, ISBN 9788887647839, prezzo euro 16.

L’autrice, docente liceale, che ha alle spalle studi filosofici e un master in comunicazione della scienza conseguito alla Sissa di Trieste, prima di questo libro ha firmato articoli di divulgazione scientifica per alcuni giornali nazionali e saggi a cavallo tra letteratura e filosofia. Mentre Annabel Napolitano, che vive tra Vienna e Venezia, è laureata in lingue moderne.

In occasione della prima presentazione al pubblico, avvenuta a Gorizia a novembre 2019 con la partecipazione di Antonella Gallarotti, curatrice del fondo Michelstädter della Biblioteca Statale Isontina – che conserva l’opera del filosofo goriziano e gli scritti a lui dedicati – e di Marco Menato, direttore della stessa biblioteca, “Il fuoco della vita” è stato accolto come il primo saggio in assoluto, fra i tanti dedicati a Carlo Michelstädter, che riunisce e accompagna in una lettura commentata l’opera del filosofo attraverso una ricca scelta antologica.

Il testo si articola in quattro parti. La prima propone la lettura commentata di parte dell’Epistolario – che attraverso le sue molteplici annotazioni consente di ricostruire la vita romanzesca del giovane filosofo e tutto il fervore della sua inquieta giovinezza ma anche i rapporti con i familiari: con il padre e soprattutto quelli con la madre e l’amatissima sorella Paula, che sarà la custode della sua memoria. Dall’analisi delle lettere emergono anche i profili delle donne amate dal giovane, che – più incisivamente – emergono nella seconda parte del libro, in cui si analizzano le sue poesie e l’afflato lirico che le anima. La terza parte e la quarta conducono per mano, in una sorta di crescendo rossiniano, attraverso testi squisitamente filosofici: il Dialogo della salute e la Persuasione e la rettorica, la tesi di laurea e l’opera che ha consegnato Michelstaedter all’immortalità.

Ma chi è Carlo Michelstädter?

Nato a Gorizia il 3 giugno del 1887 in territorio asburgico, quarto figlio di una famiglia borghese di ebrei italiani, è nipote di quella Carolina Luzzatto Coen che fu la prima donna a dirigere un quotidiano: “Il Corriere di Gorizia” e che, per il suo irredentismo, fu internata nel penitenziario di Goellendorf allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale.

Brillante e versatile, il giovane Carlo viene iscritto dal padre, che ne intuisce le doti non comuni, allo Staatsgymnasium cittadino, dove segue le lezioni in tedesco, appassionandosi al greco, al latino, alla matematica e al disegno.

Dopo la maturità sembra voler studiare prima giurisprudenza e poi matematica a Vienna, infine decide di puntare su Firenze, culla del Rinascimento e vivace centro culturale. Qui frequenta i corsi letterari e filosofici dell’Istituto superiore, senza smettere di coltivare le sue passioni: la musica, la pittura, la poesia. Quando arriva il momento della tesi, la concorda con il suo docente di greco.

“La Persuasione e la Rettorica”, questo è il suo titolo, doveva essere un esercizio accademico relativo ai concetti di persuasione e retorica in Platone e Aristotele. Quella tesi non sarà mai discussa, perché egli muore suicida il 17 ottobre 1910, ma è il testo filosofico che lo ha reso celebre, consegnandolo alla storia della filosofia e poi definitivamente al mito.

“Il fuoco della vita” è dunque un omaggio a un mito del primo novecento che, nello splendore dei suoi 23 anni, ha fatto ardere e brillare il fuoco della vita e per la vita per poi decidere di troncarla nell’ottobre del 1910. Gli approfondimenti presenti nel volume offrono inoltre confronti con altre figure della letteratura e della cultura, da Kafka a Leopardi, da Calvino a Kundera, da Stirner (per la prima volta il filosofo della sinistra hegheliana viene messo a confronto con Michelstädter) a Freud. Ne “Il fuoco della vita” si ipotizza infatti un incontro mancato con il padre della psicoanalisi. “Il ritrovamento fortuito del 2018 del cassone da viaggio in cui la sorella Elda aveva riposto alcuni libri di Carlo Michelstädter per sottrarli alla furia nazista attesta il possesso della seconda edizione tedesca Franz Deuticke, quella del 1909, dell’Interpretazione dei sogni – afferma Elena Guerra – e questo rende ragione di alcuni disegni di Carlo in cui raffigura il padre come una sfinge ma anche del suo vivo interesse per la psicoanalisi e il suo strutturarsi.”

Sempre sotto forma di approfondimenti che si innestano nel testo, non mancano poi osservazioni sulla vis comica del Goriziano (l’incontro con la zia Irene è un vero e proprio pezzo di teatro) e sul suo spirito antiborghese. In coda al volume, introdotte da Stefano Sigismondi, – vengono riportate infine alcune fra le più interessanti pagine di critica dedicate a Michelstaedter, come per esempio quelle di Giovanni Gentile e di Gina Lagorio.

Lo stile è immediato e divulgativo, ma è anche attento alla correttezza scientifica dei riferimenti: il testo è infatti corredato da un ricco apparato di note esplicative e di approfondimento.

L’intento è quello di far conoscere a un pubblico di lettori appassionati e non necessariamente specialisti un giovane prodigioso sotto il profilo intellettuale e umano.

Nel risvolto di copertina si legge infatti che: “al rientro a casa da Firenze, Carlo Michelstädter ha indirizzato, il 29 giugno 1909, al suo compagno di studi universitari Gaetano Chiavacci, futuro curatore delle sue opere, una lettera, dalla quale viene stralciato il passo che segue:
«Venerdì mattina, quando vidi le Alpi illuminate dai primi raggi del sole, e quando in un paesello a pochi chilometri da Gorizia vidi le operaie friulane, coi piedi nudi e i capelli biondi, e quando vidi spuntare il profilo del S. Valentin, e passai l’Isonzo – sentii qualche cosa non so se piacevole o dolorosa, ma così inaspettatamente viva che ancora adesso mi meraviglia,  -e mi chiedo da dove mi sia venuta e come. Certo che ora qui non ho niente che stia [in] corrispondenza con quei pochi istanti, e il tempo mi passa sopra uguale e indifferente come prima. In quel momento forse qualcuno sbadatamente m’ha rimesso in fuoco così ch’io mi son sentito vivo e solido e intero. Ora non sono più in fuoco e non mi sento più per quanto mi tasti».
Quel «qualcosa» che Carlo avverte «inaspettatamente», si può forse non interpretare come un presagio che il fuoco della vita, all’insegna del quale aveva vissuto i migliori anni della sua giovinezza, andava stingendosi a poco a poco, per spegnersi del tutto, l’anno dopo, a soli ventitré anni? Se è così, questo libro rappresenta un dono d’amore offerto da Carlo a tutti i lettori, soprattutto giovani, affinché imparino ad amare la vita, come egli l’ha amata, pur nell’avverso destino.”


Vito Sutto

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